L’integrazione dei migranti non si esaurisce all’interno della sfera lavorativa. Ma da questa dipende in modo profondo, e per varie ragioni. Primo, l’immigrazione spesso osteggiata nei contesti sociali allargati ma accettata se ricondotta al mondo del lavoro: flessibilità, contenimento dei costi e disponibilità a svolgere professioni marginali accrescono infatti l’interesse per questa frangia di lavoratori. Secondo, il lavoro è centrale nel progetto migratorio, tale da configurare le azioni di crescita professionale come precondizione per una più generale promozione sociale (empowerment). Infine, le caratteristiche strutturali del popolo migrante (giovane età, alta scolarità e occupazione femminile) ne enfatizzano il peso della professione. A partire da una ricerca Equal di taglio etnografico, il libro presenta lo stato dell’arte delle imprese italiane che si confrontano con una forza lavoro multiculturale. Il tema è analizzato nella prospettiva del diversity management, approccio strategico trasversale alle funzioni HR e marketing, con l’obiettivo di tradurre la varietà dell’organico di un’impresa in asset competitivo. Analizzando casi di multinazionali e di PMI italiane ed etniche, si sviluppano riflessioni ad hoc volte a favorire non solo un primo inserimento lavorativo dei migranti (occupabilità), ma una loro progressione nel mondo delle professioni intraprese (adattabilità). Il lavoro, pur parziale, documenta miserie e virtù di un’Italia a confronto con un mercato del lavoro creolizzato, oggetto di frettolose e distorte rappresentazioni.